domenica 24 maggio 2009

Language is war. In memoria di Fabio Mauri

Qui non si discute la guerra, né la morte, che la guerra degrada a effetto secondario. Il libro ritiene la guerra pessima. In "Language is war" essa appare come il fine complesso e completo dell'io in un momento razionale, sociale e tecnico. Globalmente simbolico, linguistico, ideologico, il linguaggio fotografato si scopre teso a colpire il nucleo di altri universi linguistici, cioè di ideologie diverse, a scoppiare o a inglobare il diverso nel contatto. Di struttura aggressiva, proprietaria. Capitalizza se stesso. Si accresce in proprio o su altri linguaggi, con uso colmo, organico, gerarchico dei segni. Si fonda come testo unico. L'istituto della traduzione, che è esercizio di pace, appare stato insufficiente. Decodificazione e rimpasto dei contesti comuni a differenti universi ideologico-linguistici, diplomazia e politica, ampiamente superati dal colmo espressivo. É primaria la difesa del nucleo di un sistema, che resta territorio esclusivo di se stesso. Forse il linguaggio appare come è: primo e ultimo atto di proprietà intransigente sull'uomo e il suolo. Le immagini hanno scarsa capacità logica e molta efficacia nel rilevare il dato fisico di un problema. Il libro si chiede se l'uomo come idea e come fatto in sostanza è quel linguaggio. Cosa lo differenzia dal suo linguaggio. L'aderenza tra linguaggio e uomo è così stretta, in condizione di guerra, che sul tavolo analitico se ne ricava una nozione antropologica maligna: il linguaggio è cattivo, o il suo uomo lo è, o l'uno e l'altro lo sono. Proprietario assoluto, da essere naturalmente sterminatore di chiunque altro contrasti tale momentanea identità. O entrambi sono radicali, buoni conduttori di errore e verità, ma ai loro caratteri lo sterminio è ragionevole. Tale dato vale anche per l'uso del falso, rispetto alla verità creduta. A costo di difenderne il nucleo, il linguaggio mente. Dato difficile a credersi. Nei codici di osservazione si conserva l'idea dell'uomo e del suo prodotto intellettuale come inclini al giusto, al vero, al buono. Ma senza tregua si viene contraddetti dalla storia o dalla cronaca, dall'esperienza dell"'io" e del "tu". Forse è necessaria la conservazione di un minimo di apprezzamento per non trovarsi a fondere una metafisica del male tautologicamente contraddittoria. Il libro sa bene che un'ideologia non è uguale a un'altra, sotto l'aspetto del suo significato per l'uomo. Sa che il linguaggio comporta idee non pari. "Language is war" non intende allineare i contendenti ad una situazione in cui il meccanismo prevalga, annullando il valore delle differenze. Ma per ogni insieme deve ammettere che il vettore naturale è identico. Il fine buono di un universo ideologico si dovrà realizzare al di là della tendenza naturale del linguaggio, che è quella dell'autarchia. Dogmatismo, schematismo, intolleranza, rifiuto dell'alleanza e della riflessione sulle ragioni avversarie, sono segni più del linguaggio come insieme di segni autocredenti che di tendenza della logica che presiede alloro coordinamento. All'inclinazione perversa del linguaggio si può contrapporre, unico antidoto, l'esercizio della critica. Virus belligerante, tendenzialmente solitario, interno allo stato di guerra tra ideologie. Ogni rivoluzione è essenzialmente pura critica. In "Language is war" tale momento non è fotografato, o meglio nelle fotografie ricavate dalle guerre, tale momento è percentualmente assente, con sbalorditiva naturalezza. Si noterà anche che i visi dei protagonisti ridono, o segnalano serenità. Uomini mansueti attendono alla messa a punto di un attrezzo ingegnoso, che di lì a poco, in mani doverose e attente, si tramuterà in causa flagrante di sterminio. Cosa è quella serenità e pace se non l'ordine identificatorio, interno a ogni cosmo linguistico, tale da presentare come ovvia la propria irrinunciabilità. Il linguaggio è, di fatto, una dichiarazione primaria di diritto. L'immagine del soldato che se ne va contro la mitragliatrice, fa pensare che sia più l'aderenza piena a un sistema di identificazione, confuso ma completo, che a un pensiero organico, personale a permettergli di correre incontro, con coraggio semplice, al termine della ragione stessa della propria esistenza, che è l'esistenza. Forme, stemmi, bandiere, divise, cifre, decorazioni, simmetrie, disordine e coreografie tattiche, ciò che appare sulla scena di guerra e le permette di riconoscersi tale, è inteso qui come segno di sistemi di tirannide linguistica. La costruzione linguistica più è chiusa, stretta e compatta, più è completa, più diviene costrizione logico-pratica, toglie a chi segue i termini stessi di nuova analisi. Porta l'uomo a una difesa intera, cioè mortale, di sé. In questa pienezza il linguaggio mostra di non curarsi del suo fine creduto primario, dell'informazione, ma della soppressione di ogni informazione contraria, cioè è svelatamente di fronte al suo avversano, la critica. Per almeno una tra due parti, l'asserzione calza senza percentuale di scarto. Vediamo di ridurre l'universo al mio, al modo in cui lo chiamo e lo penso, che altro non è che il modo in cui certamente sono, come l'entropia linguistica mi fa credere. Devo, almeno, difenderla o, meglio ancora, imporla, al logico costo dell'esistenza. Perciò la guerra richiede la morte propria e di altri come naturale. Non uccido io, ma un segno uccide, arbitro dei propri motivi, per sé e per me, scagionandomi. Si può comprendere l'attrazione che periodicamente la guerra ha esercitato su artisti non ingenui, vedi i Futuristi, per la straordinaria concentrazione di risorse espressive che un conflitto mette in campo. Una bellezza fuori misura non si disgiunge dalla catastrofe. L'estetica imperversa nei campi di devastazione, come si trovasse sul proprio vero territorio motivazionale... Due foto accostate tessono una trama. Come i linguaggi, non sincera. Non sono cancellate le trame perché risultasse, dalle foto, l'esempio di ruolo feroce del linguaggio o, sereno, in ordine a universi di ferocia. Ho accettato la sottotraccia storica, come per caso, che guida gruppi di pagine dove si parafrasa l'ultima guerra mondiale, deviando verso cronache note, tesi che l'intreccio occasionale di istantanee creavano, e non si potevano condividere. Il linguaggio, incline al falso, va piegato a realtà e verità. Persino l'uso pacifico dei segni in uso in una impaginazione crea di suo almeno una imbarazzante guerra di significati. Ne può risultare che l'arte o l'espressione, non va esente, contribuisce a un inganno eventuale. Che l'esercizio della poesia è o può rappresentare un massimo di violenza ideologica. Che l'arte non è la vita, come probabile, però le è uguale. A questi temi emersi dalle immagini del libro, il libro di immagini non risponde. Né all'autore, né ad altri. Indica la critica, tra i micidiali eventi ideolinguistici, quale Unicum Salutare. (1975)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

MANIFESTO DEL MOVIMENTO SINESTETICO Oggi Giovedì 18 Febbraio 1999, in nome dell'arte nasce il MOVIMENTO SINESTETICO.Nasce sulla base di una evoluzione di Pensiero Sinestetico sviluppatosi nella storia; cioè dalla ricerca utopica di un'unico lavoro d'arte Totale, creata da un'interscambio di linguaggi espressivi.Essi hanno come obbiettivo unico la stimolazione dei 5 ( 6 ) sensi umani e come fine la creazione di un'opera d'ARTE TOTALE.Superando quindi i tentativi fatti in passato e utilizzando l'esperienza di questi; senza soffermarsi unicamente al fondamentale rapporto tra Colore / Suono, ma estendendo i livelli di percezione ad altre forme espressive. Consideriamo quindi le possibilità Comunicativo / Espressive nel contesto storico attuale, prendendo come fonte d'ispirazione le avanguardie del '900 e partendo da queste, prepariamo lo scambio generazionale.I SINESTETI : Matteo Albertin - Antonio Sassu - Gianluca Scordo MANIFESTO OF THE MOVIMENTO SINESTETICO Today 18th February 1999.In the name of art originates the MOVIMENTO SINESTETICO.Founded upon a base of an evolutional Synesthetic Thought, developped in the history. That is from an utopic research of a Total Unic Work of Art, created from an interchange of expressive languages. Expressive languages that have as unic aim the stimolation of the 5 ( 6 ) human senses and as a result the creation of a TOTAL WORK, exceeding the attempts made in the past and using their experience; only without stopping at the fundamental relation between Colour and Sound, but extending the levels of perception on other expressive forms. We consider therefore the possibilities Communicative / Expressive in the contest historic present, taking as inspiration source the 900' avan-gardes and from this, weprepare the generational exchange.THE SYNESTHETI :Matteo Albertin - Antonio Sassu - Gianluca Scordo

luisa per ARTE2.0 ha detto...

Esattamente un anno fa ero nel suo studio romano per un'intervista quando mi chiese se volevo un caffè, rifiutai e mi disse che il "caffè non faceva ingrassare" e si mise a ridere. Ho un bel ricordo di lui, un personaggio intelligente, sensibile e un grande artista.