domenica 20 gennaio 2013

ARTE IN
MEMORIA 7.
Mostra Internazionale
di Arte Contemporanea
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a cura di
Adachiara Zevi

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"Arte in Memoria 7” è la Biennale di arte contemporanea che dal 20 gennaio al 13 aprile 2013 sarà ospitata nell’antico scenario della Sinagoga di Ostia, per la quale quest’anno si festeggia il decennale.
Alice Cattaneo, Sigalit Landau, Hiodetoshi Nagasawa e Michael Rakovitz sono gli artisti chiamati a confrontarsi con le mura dense di storia e religiosità in un collaudato «corto circuito tra arte contemporanea e un luogo archeologico di grande importanza», per ritrovare le parole della curatrice.

Alice Cattaneo
Opere in mostra
Ferro, vernice, dimensioni variabili
Ferro, vernice, 150x200x150 cm circa
Una serie di forme geometriche uguali bianche sono disposte a terra nell’area del vestibolo della Sinagoga di Ostia Antica. Si tratta di ritagli sottili di ferro che creano una superficie leggermente sospesa rispetto al pavimento originale. Trasmettono l’idea di un passaggio lieve, sospeso: scenario che riporta a una meditazione figurata della vita interiore, dove il ritmo personale interno si misura con quello esterno in una dimensione fluttuante.
Una sottile striscia di ferro dipinta di bianco avvolge, come se fosse un ritaglio di scotch, una delle quattro colonne principali nel punto in cui si accosta a una trave dell’edicola. Questo piccolo elemento rende visibile una connessione inattesa tra spazio e tempo, dando rilievo a un’ insolita vicinanza tra elementi architettonici che raccontano le conformazioni della Sinagoga succedutesi nel tempo.

Nota biografiche
Alice Cattaneo è nata a Milano dove vive e lavora. Ha studiato Environmental Art alla Glasgow School of Art in Scozia e ha conseguito un MFA in Scultura presso il San Francisco Art Institute in California. La sua prima mostra personale in Italia e’ del 2005 presso la Galleria Suzy Shammah. Successivamente espone alla Galleria Analix Forever di Ginevra (2006), alla Ikon Gallery di Birmingham (2007), al Museo d'Arte Contemporanea Donna Regina, Napoli (2008) e alla Galerie Stadtpark di Krems in Austria dove partecipa ad una bipersonale con Fred Sandback (2012). Tra le sue mostre collettive si segnalano Italics, Italian Art between Tradition and Revolution, Palazzo Grassi, Venezia; XV Quadriennale di Roma (2008); Musée d'Art Moderne de Saint-Étienne Métropole (2009); Terre Vulnerabili, Hangar Bicocca, Milano; Negotiations, Today Art Museum, Beijing (2010). Nel 2011 partecipa ad Arte essenziale, un progetto di Federico Ferrari, Collezione Maramotti, Reggio Emilia / Frankfurter Kunstverein, Francoforte. Nel 2012 espone in Cina in occasione della IV Triennale di Guangzhou.

“La precarietà è il tratto distintivo di Alice Cattaneo, che nel suo caso, a differenza di altri artisti che sposano questo linguaggio, si fa programmatica. Con un'ostinata tensione verso l'ignoto di oggetti che a malapena stanno in piedi, Cattaneo smonta il principio costruttivo dell'installazione. Lo stesso segno di incertezza aggredisce la morfologia semantica dei suoi video, popolati come sono da equivoci, cortocircuiti visivi, alterazioni del senso” (Adriana Polveroni).
Il lavoro di Alice Cattaneo indaga i concetti di memoria e di spazio mettendo in relazione situazioni immaginate ed esperienza diretta. Nelle sue installazioni, geometrie essenziali ridisegnano lo spazio per definire un luogo apparentemente vulnerabile, dove la dissoluzione della forma sfida la perdita di gravità.


Sigalit Landau
Opera in mostra
“Holes Roles Pillars and Poles”, 2013
cm 228 x 60 (width) x 96 (depth)
14 cilindri di marmo
marmo bianco di Carrara
piattaforma di accaio: cm 100x80x1
“Un pezzo di marmo. Alto, eretto ed estraneo alle rovine della sinagoga e al luogo dell’antica Ostia. Girando intorno, si scopre che i cilindri sono stati trapanati nella profondità del pezzo. Sono stati rimossi e adagiati sul terreno. 11 pali/pilastri di contenuto-massa sono stati consumati, svuotati. Segni di autoconsunzione, un sacrificio che ha consentito il viaggio della forma. La pista segnata da questi cilindri funzionanti/funzionali imita l’antica tecnica di trasporto di elementi e materiali architettonici pesanti evocando così una lunga allegoria perduta” (Landau)

Nota biografica
Sigalit Landau è nata a Gerusalemme nel 1969. Ha studiato alla Bezalel Academy of Art and Design di Gerusalemme tra il 1990 e il 1995. Nello stesso periodo ha partecipato a un programma di scambio tra studenti trascorrendo un semestre alla Cooper Union School of Art and Design di New York. Dopo aver vissuto molti anni a Londra, si è stabilita a Tel Aviv dove attualmente vive e lavora. Ha esposto in numerose personali e collettive, in spazi pubblici e privati: in Israele (Israel Museum di Gerusalemme, Tel Aviv Museum of Art, Haifa Museum of Art, Herzliya Museum of Art); negli Stati Uniti (The Armory Show a New York nel 2005, MoMA di New York nel 2008); a Documenta X a Kassel nel 1997, a Madrid, Edinburgo, Berlino, Mosca, Vienna e, in Italia, al Padiglione israeliano alla Biennale di Venezia del 1997 e del 2011.
Landau lavora con media diversi – disegno, scultura, video e performance – per creare lavori e installazioni ora isolate ora a formare interi ambienti. Lavori estremamente complessi che affrontano tematiche sociali, umanitarie ed ecologiche come l’emarginazione, l’esilio, la relazione tra vittime e carnefici, tra decadenza e crescita. Poichè gran parte del suo lavoro concerne la condizione umana, la figura (spesso lei stessa) è un motivo chiave. Utilizzando sale, zucchero, carta, bronzo, marmo e oggetti ready-made, Landau crea installazioni di grandi dimensioni che trasformano radicalmente lo spazio in cui si collocano.

HIDETOSHI NAGASAWA
Opera in mostra
“Porta di Davide”, 2013
tre colonne alte cm 2,60
tre travi
marmo bianco di Carrara
Tre colonne triangolari di marmo bianco disposte a triangolo sorreggono una trave triangolare dello stesso materiale, ma più lunga, a fungere da copertura. Ogni colonna è tagliata ma in un punto diverso una dall’altra: la rotazione della parte superiore su quella inferiore disegna una Stella di Davide, di ardua e discreta identificazione.
L’opera, suggerisce Nagasawa, ricorda “Pozzo nel cielo” del 2002: tre colonne di marmo quadrate, una diversa dall’altra, sorreggono altrettante travi di legno incrociate e più sottili cui è appeso precariamente un triangolo di marmo bianco vuoto diversamente ruotato rispetto a quello costituito dalle colonne poggiate a terra.

Nota biografica
Nato a Tonei in Manciuria nel 1940, vive e lavora a Milano dal 1967.
Laureatosi in architettura a Tokyo nel 1963, decide di partire tre anni dopo per un lungo viaggio in bicicletta che lo porta fino a Milano, dove si stabilisce nel 1967.
Dal 1970 Nagasawa espone in importanti gallerie private e spazi istituzionali. Tra le mostre personali si segnalano quelle presso: Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano (1988), Villa delle Rose - Galleria Comunale d’Arte Moderna, Bologna (1993), Fundació Pilar i Joan Miró a Mallorca, Palma di Maiorca (1996), Toyama Memorial Museum, Kawajima, Kawagoe City Art Museum, Kawagoe, The Museum of Modern Art, Saitama, The National Museum of Art, Osaka e Nagasaki Prefectural Art Museum, Nagasaki (2009).
Tra le collettive, si segnalano le numerose partecipazioni alla Biennale di Venezia e a Documenta, Kassel (1992).
Il lavoro di Nagasawa è fortemente segnato dalla sua esperienza biografica e dal tema del viaggio, come dimostra il persistere dell’immagine della barca. Formatosi a contatto con artisti come Enrico Castellani e Luciano Fabro, Nagasawa si lega subito alle poetiche “oltre il quadro” e al concettualismo. Nel suo lavoro l’indagine sullo spazio si lega a quella sulla materia attraverso l’esplorazione del concetto di limite. Dal 1972 realizza grandi opere scultoree in oro, marmo e bronzo, dove fonde elementi mitici e religiosi. Agli anni ottanta risale la creazione di ambienti nei quali prevalgono l'idea della sospensione e il tentativo di creare opere "antigravitazionali", mentre dagli anni novanta è preponderante il tema del giardino, concepito come organismo vivente in relazione osmotica con il contesto.


MICHAEL RAKOWITZ
Opera in mostra
“Geniza per Ostia”, 2013
Il lavoro creato per la sinagoga di Ostia trae spunto dalla condizione di profondo dolore vissuta da Rakowitz a causa della grave malattia che ha colpito sua madre, cui è legatissimo personalmente e intellettualmente: a lei deve la passione precoce per la poesia e la scelta di diventare artista. Emigrata con la famiglia da Baghdad nel ’56 alla volta degli Stati Uniti, ha continuato a mantenere viva e a trasmettere al figlio la cultura e la tradizione irachena-ebraica-araba. Quando nel ’91 è scoppiata la Guerra del Golfo, tra il paese dove i suoi nonni si erano rifugiati e quello dal quale erano fuggiti, Rakowitz ha sentito che l’intera cultura della sua famiglia era minacciata e che il suo dovere di artista era di salvaguardarla. “Come un museo minacciato dalla guerra, come le biblioteche minacciate dagli iconoclasti e dal fuoco, ho visto nella malattia di mia madre una minaccia per il passato e il futuro di una intera cultura”. Per questo, ha collezionato per anni frammenti di Torah irachene, libri di preghiere, bicchieri per la preghiera del sabato danneggiati e altri oggetti religiosi, pensando di costruire un archivio della storia ebraica irachena. “In realtà, mi sembra di aver costruito solo una gheniza”, una sorta di deposito, generalmente nella sinagoga, destinato a questi oggetti religiosi prima di ricevere degna sepoltura. Se seppellire è nascondere, mettere a giacere e a riposare nella terra, “per Arte in Memoria propongo di seppellire il mio archivio nel terreno della sinagoga di Ostia. E’ un modo per dire addio alle cose che hanno bisogno di riposare, che è la cosa più difficile da fare mentre si cerca di rimanere vivi”.

Nota biografica

Nato a Great Neck, New York, nel 1973, Rakowitz vive e lavora a Chicago.
Ebreo, di madre irachena, si diploma in belle arti e nel 1998 consegue un master in Science in Visual Studies presso il Massachusetts Institute of Technology. Nel 2003 vince il premio Dena Foundation for Contemporary Art. Dal 2006 è Associate Professor presso il dipartimento Arts, Theory and Practice della Northwestern University, a Evanston (Illinois).
Tra le mostre personali si segnalano quelle presso: P.S.1 Contemporary Art Center, New York (2000), Queens Museum of Art, New York (2003), Tate Modern, Londra (2010).
Tra le collettive, la partecipazione a dOCUMENTA (13), Kassel (2012).
I suoi progetti si definiscono spesso come site-specific, perché motivati sempre da una situazione storica, sociale o architettonica, implicante generalmente esclusione o assenza. Tra i più noti, “paraSite”, consiste nell'appropriazione del sistema di ventilazione esterno degli edifici, il HVAC (Heating, Ventilation, Air Conditioning), da parte dei senza tetto, per gonfiare e riscaldare rifugi provvisori, costruiti con materiali riciclati e deperibili come i sacchi di plastica per l'immondizia.
Il lavoro di Rakowitz è spesso dedicato alla vita quotidiana degli individui in contesti marginali o alle culture minacciate dalla guerra e dalla persecuzione razziale. What Dust Will Rise?, presentato a Kassel in occasione di dOCUMENTA (13), stabilisce una connessione fra la distruzione delle statue di Bamiyan, in Afghanistan, e la distruzione di libri avvenuta nell’incendio del Fridericianum a Kassel nel 1941, in seguito a un bombardamento.
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